Da oltre vent’anni, la società di consulenza Edelman misura la fiducia che i cittadini hanno verso quattro istituzioni fondamentali: governi, imprese, media e ONG e le raccoglie nel suo report annuale, l’Edelman Trust Barometer.
Nell’ultima edizione, che è stata realizzata coinvolgendo un campione di oltre 32mila persone in 28 Paesi diversi, c’è un dato che mi ha colpito particolarmente: il 74% delle persone intervistate ripone la stessa fiducia negli scienziati e nelle persone comuni quando si tratta di “dire la verità su nuove innovazioni e tecnologie”.
Questo dato riflette una tendenza preoccupante e allo stesso tempo affascinante, che ci porta a riflettere su come la fiducia venga costruita e su quale ruolo giochi nella diffusione di messaggi e informazioni. E c’è un concetto che secondo me, è spesso sottovalutato quando parliamo di fiducia, verità e social media: l’effetto “cyber cascade”.
Il termine “cyber cascade” descrive un fenomeno per cui alcune idee si diffondono attraverso i social media secondo due modalità principali: la cascata informativa e la cascata basata sulla reputazione.
Nel primo caso, le idee si propagano perché vengono percepite come utili, interessanti o veritiere, indipendentemente dalla fonte. In altre parole, il contenuto dell’informazione ha un valore intrinseco che spinge le persone a condividerlo e a farlo circolare.
Nel secondo caso, entra in gioco la fiducia verso la fonte dell’informazione. Un’opinione o un’idea viene accettata e propagata non tanto per il suo contenuto, ma perché proviene da una persona o da un gruppo di cui ci si fida: scienziati, appunto, o sempre più spesso, “persone come me”.
Questo fenomeno può essere particolarmente potente in momenti di crisi, quando le persone cercano punti di riferimento sicuri e affidabili. È in questi momenti che le reputational cyber-cascades possono avere effetti devastanti, come la diffusione di idee razziste o di teorie del complotto anche tra persone che normalmente non le condividerebbero.
A questo punto, è utile distinguere la cascata informativa dal “herd behaviour” (comportamento di gregge). Sebbene entrambi i fenomeni portino a un comportamento imitativo, c’è una differenza sottile ma significativa. Nel herd behaviour, le persone seguono la massa, ma conservano una parte delle informazioni personali raccolte autonomamente. Queste informazioni possono rimanere inutilizzate ma restano potenzialmente accessibili e riattivabili. In altre parole, chi si comporta da “pecora” potrebbe, in teoria, recuperare e utilizzare le proprie informazioni in modo autonomo in un secondo momento.
Nella cascata informativa, invece, l’imitazione è totale. Le persone abbandonano completamente le loro informazioni personali in favore di quelle raccolte dalla massa. Questo fenomeno può portare a una diffusione ancora più rapida e incontrollata di idee, poiché non c’è alcuna possibilità di ritorno alle informazioni originali possedute dall’individuo.
Più di vent’anni fa, esperti di scienze comportamentali, tra cui Cass Sunstein, avevano già identificato queste dinamiche, descrivendole con termini presi a prestito dalla fisica, come tipping points (punti critici) e turbolenze.
Un esempio chiaro di questo fenomeno è la diffusione dei social media stessi. All’inizio degli anni 2000, solo una piccola parte della popolazione utilizzava piattaforme come Facebook o Twitter. Tuttavia, a un certo punto, il numero di utenti ha superato una soglia critica – il tipping point – che ha reso queste piattaforme indispensabili per la comunicazione e l’informazione, trasformando radicalmente il modo in cui interagiamo e ci informiamo.
Il concetto di turbolenza si riferisce invece a una fase di agitazione e disordine che può accompagnare o seguire un tipping point. In termini sociali e comportamentali, la turbolenza può manifestarsi come un periodo di confusione, disorientamento e conflitto, in cui vecchi paradigmi vengono sfidati ma non sono ancora stati sostituiti da nuove norme stabili.
Un esempio storico di turbolenza è stato il periodo immediatamente successivo agli attacchi dell’11 settembre 2001. L’evento in sé ha rappresentato un tipping point per la politica internazionale e la sicurezza nazionale, ma gli anni successivi sono stati caratterizzati da una forte turbolenza, con l’introduzione di nuove misure di sicurezza, guerre in Medio Oriente, e una crescente paura del terrorismo che ha profondamente influenzato la politica globale e le relazioni internazionali.
Queste dinamiche di interazione ci aiutano a capire a cosa è dovuta la persistenza di alcune teorie del complotto, come quella delle “scie chimiche” o la convinzione che i vaccini provochino l’autismo. Anche quando queste idee vengono ampiamente smentite e dimostrate false, continuano a circolare grazie alla forza delle camere dell’eco, che generano circuiti identitari di rafforzamento dell’autostima.
Ma il fenomeno delle cibercascate non è necessariamente negativo, anzi. Nel marketing, ad esempio, il cyber cascading può essere utilizzato per promuovere un prodotto o un servizio: è il caso degli influencer o, in maniera più sottile, quello degli opinion leader, ad esempio.
Allo stesso modo, durante la Primavera Araba, piattaforme come Facebook e Twitter sono state fondamentali per facilitare la comunicazione tra i manifestanti. Queste piattaforme hanno permesso di organizzare manifestazioni e condividere aggiornamenti in tempo reale, aiutando a mobilitare le persone sia online che offline. La rapida diffusione delle informazioni attraverso queste reti ha creato una “cyber cascade”, in cui le conversazioni rivoluzionarie online spesso precedevano le proteste di massa sul campo.
Anche le decisioni che ci sembrano più banali, come credere o no a una notizia vista di sfuggita sui social media, possono essere influenzate da queste dinamiche. Essere consapevoli della possibilità di essere trascinati in una cyber cascade. In un mondo dove la fiducia può essere tanto facilmente manipolata, il pensiero critico diventa la nostra prima linea di difesa.