Tra aneddoti e suggerimenti, con la strategist Mafe De Baggis capiamo come un approccio complesso e multilaterale sia fondamentale per la propria presenza online.
Joe Casini: “Buongiorno, buona domenica e benvenuti in questa nuova puntata di Mondo Complesso, il podcast in cui parliamo della complessità del mondo e lo facciamo esplorando in ogni puntata un’area del sapere ma provando a interconnetterla con le altre aree e quindi con le altre puntate. Lo facciamo con ospiti sempre nuovi, oggi sono molto contento perché abbiamo con noi Mafe De Baggis, benvenuta! Mafe è digital media strategist, ma fa anche formazione, scrive dei libri molto interessanti, ha grande esperienza in tutto ciò che è la comunicazione digitale in particolar modo, nell’ultimo periodo, sta approfondendo il tema dell’intelligenza artificiale. Io partirei subito perché abbiamo tantissimi argomenti, quindi la prima domanda che ti farei è quella che definiamo la domanda semplice: com’è cambiata la comunicazione negli ultimi tre anni? Diciamo dalla pandemia in poi, in questa fase che stiamo vivendo che è una nuova fase in qualche modo, anche dal punto di vista della comunicazione digitale ci sono già dei cambiamenti che si vedono o siamo in un trend un po’ dell’ultimo periodo.”
Mafe De Baggis: “È una domanda molto complessa, ma siamo nel posto giusto e quindi siamo nella casa della complessità. Secondo me sono successe contemporaneamente due cose: una che a me fa molto piacere che in un certo senso auspicavo da tanto tempo e cioè una certa normalizzazione dei media digitali, dei social media nelle nostre vite perché durante il lockdown ovviamente siamo stati tutti più o meno forzati ad usarli per restare in contatto con le persone care e quindi secondo me molte persone si sono rese conto della loro sostanziale plasticità. Quindi chi magari aveva sempre solo sentito parlare di Facebook, di Instagram, di WhatsApp e diciamo anche della lettura di articoli, di news on-line, nel momento in cui si è trovato costretto a farlo ha visto che di fatto non è poi così vero che ci fanno fare cose che noi non vogliamo.. Ecco questo che è un po’ il mio grande tormento, questa idea che nel momento in cui tutti i colleghi a internet improvvisamente, sei obbligato a fare cose che mai avresti fatto mentre il resto del mondo ti permette invece di essere pienamente te stesso. Quindi secondo me milioni di persone hanno scoperto che in realtà i social media sono anche abbastanza noiosi, utili ma noiosi, e meno potenti. L’altra cosa che è successa e che però questi milioni di persone una volta finita l’emergenza del lockdown sono rimasti silenziosi e tranquilli come in loro diritto e tante altre persone hanno ripreso con il tormentone del ‘dove andremo a finire’ ‘i ragazzi rovinati, l’ansia, la manipolazione, la persuasione occulta’ come se non fosse successo niente, ecco quindi quello che vedo è tutto questa cosa un po’ più preoccupante come se non fosse passato questo periodo tragico che abbiamo vissuto tutti e banalmente ieri leggevo le classiche notizie di commento alle varie voci nei vari licei, soprattutto milanesi, ma penso tutta Italia di ragazzi che si lamentano dell’eccessiva pressione scolastica dell’ansia e c’era un commento che diceva ‘ah ma come mai questi ragazzi sono così ansiosi?’”
Joe Casini: “Quando tu dicevi che una persona in qualche modo può anche aver riscoperto i social mi ritrovo moltissimo, ora c’è una riflessione che si fa spesso ed è come internet stia cambiando da uno strumento di informazione a uno strumento di intrattenimento. Il modo in cui consumiamo i contenuti che ormai è la modalità reel di tiktok e che ora stanno adottando un po’ tutti anche Spotify, crea un modo di utilizzo più simile alla televisione rispetto a internet come lo conoscevamo, questa credo sia la narrazione dominante di questo periodo. Mi ritrovo in quello che dici tu perchè non credo sia necessariamente così, io personalmente avevo chiuso gli account social da un po’ anni, sono stato tanto nerd poi avevano preso quella deriva che un po’ dicevi tu e che non mi piaceva e li avevo chiusi, e proprio durante i lockdown li ho trovati migliorati, ho trovato molti contenuti interessanti nel modo di fare informazione, ci sono tantissime pagine e contenuti dove si fa un’ottima formazione anche in maniera non semplice, anche se a volta bisogna semplificare e rendere accessibili i contenuti mantenendone la qualità e ci sono molte persone che lo fanno alla grande. Quindi mi ritrovo molto in quello che dicevi, anche a livello autobiografico è vero che gli spazi dipendono sempre da come li abiti. Ora ti darò la possibilità di scegliere la domanda. La prima cosa che ti chiedo è: vorresti una domanda in cui parliamo di comunicazione digitale o una domanda in cui parliamo più dell’impatto sociale che abbiamo come professionisti?”
Mafe De Baggis: “Continuiamo sul sociale e poi vediamo di arrivare alla tecnica perché comunque è una conseguenza della società.”
Joe Casini: “Questa domanda sul sociale la vorresti più con un taglio personale o professionale?”
Mafe De Baggis: “Personale.”
Joe Casini: “Tu poni molto l’accento su quelli che sono gli aspetti anche motivazionali. La domanda che ti volevo fare è: c’è un aneddoto di un progetto che hai seguito che ha avuto un impatto sociale importante e che però per te ha generato quella motivazione in più? Ora siamo in un periodo in cui gli aspetti motivazionali nel lavoro stanno avendo molta molta attenzione, si parla di purpose e così via, visto che tu su questo sei stata l’antesignana, volevo sapere un’esperienza in cui effettivamente questa motivazione in più l’hai sentita forte.”
Mafe De Baggis: “Allora sicuramente la prima cosa che mi viene in mente è una delle mie primissime esperienze di lavoro on-line, anche perché ci permette di dire internet è qui da veramente da tanto tempo e ahimè anch’io, momento di autodenuncia anagrafica, ma parte a parte gli scherzi, nel 1998 io sono stata assunta come community manager della prima grande community italiana non nata spontaneamente perché era un mondo in cui gli spazi di incontro, di aggregazione che ai tempi erano chat, forum, i erano di fatto autogestiti quasi sempre nati in università, tu giustamente dicevi ‘spazi di lavoro spazi divertimento’ io perché vengo scelta per questo lavoro? Io ai tempi ero una pubblicitaria, una copywriter, quindi facevo tutt’altro lavoro, perché il fratello di un mio amico sapeva che io perdevo un sacco di tempo in chat e questa cosa di perdere un sacco di tempo è diventata un po’ la mia cifra professionale. Quindi visto che io perdevo un sacco di tempo in chat ero di fatto una delle poche professioniste italiane in quel momento che pur lavorando nel mondo della comunicazione delle imprese, quindi un minimo di consapevolezza del mondo del lavoro, non avevo paura di internet e quindi ho preso il lavoro dei sogni, sono entrata veramente in un progetto che ancora adesso è uno dei progetti più belli a cui abbia mai partecipato perché perdevo un sacco di tempo invece di lavorare e questo progetto qui che era ‘Atlantide’, un progetto di Telecom, io ero la community manager e content editor del sito di Atlantide, io sostanzialmente, gestivo anche una squadra di animatori, ed è stato l’unico momento della mia vita in cui mi sono ammazzata di lavoro per scelta. Venendo alla tua domanda lo facevo perchè era un classico stato nascente, in Telecom ai tempi c’erano persone veramente brillanti e visionarie, quindi un gran piacere del lavoro ma soprattutto la possibilità di far scoprire un modo diverso di fare amicizia, di confrontarsi con qualcuno, di chiacchierare a persone che non avevano modo di capire invece l’internet diciamo anarchica, quindi quella da cui arrivavo e tutto il progetto ‘C6 atlantide’ nasceva proprio per questo cioè un modo per fare amicizia, per incontrarsi on-line che fosse un po’ meno sottotraccia un po’ più mainstream, quella per me è rimasta ed è ancora oggi, quasi 25 anni dopo, la motivazione. Online è vero che ci sono tantissimi problemi e rischi e pericoli continui, ma nello stesso tempo c’è la possibilità di incontrare persone, contenuti, esperienze, impossibili altrimenti. Questo è proprio il mio Drive, il mio purpose, lo devo incarnare.”
Joe Casini: “Parlavi anche degli orari di lavoro e quanta energia spendevi, anche qui volevo farti una domanda perchè questo è un tema su cui torniamo spesso. Posto che nella famosa società fluida ora anche i rapporti lavorativi sono sempre più fluidi e quindi dal lato aziende questo vuol dire dover trovare modi di attivare ambienti di lavoro più sani e stimolanti dall’altra parte il lavoratore può cercare esperienze che siano più gratificanti. Tutto questo è possibile nella misura in cui c’è un’adeguata cultura da entrambe le parti, tanto più sono in grado di poter spaziare tra competenze tecniche, capacità relazionali per potermi guardare attorno, al contrario l’azienda tanto più è in grado di mettere in campo incentivi diversi, che non sono strettamente economici, e tanto più si riesce a creare valore. Questa può sembrare un’ovvietà ma io sono un gran fan dell’ovvietà, di solito quando si dicono le cose ovvie le ignoriamo, spesso le cose sono talmente ovvie che facciamo l’esatto contrario. Come vedi la situazione dal punto di vista professionale e lavorativa, secondo te questa è una direzione dove ci stiamo tutelando come professionisti? Vedi effettivamente che siamo al passo di questo trend di dover essere tutti quanti in grado di generare valore avendo magari meno tutele rispetto al passato?”
Mafe De Baggis: “Secondo me c’è ancora tanto lavoro da fare su noi stessi, proprio come categoria, sia come categoria di freelance sia come categoria di lavoratori del digitale, della comunicazione, dell’informazione, della cultura perché comunque rimane ancora molto forte la cosiddetta profezia che si autoavvera del ‘ah ma tanto mi pagano poco, mi pagano male, mi pagano 120 giorni se va bene, e se dico di no c’è qualcun altro’, un’altra cosa su cui invece lavoro tanto, sottotraccia, e combatto da tempo è proprio dire persona per persona che questa cosa qui non è vera, non è assolutamente vera che se tutti oggi smettessimo di accettare lavori sottopagati da clienti prepotenti e incompetenti, con condizioni non professionali qualcosa cambierebbe, si tratterebbe di fare una protesta pubblica e una cosa che a me fa sempre molto arrabbiare è che le persone di solito mi dicono ‘per te è facile perchè tu ormai hai una reputazione ci credo che puoi dire di no e scegliere i clienti’, non è che sono nata con una reputazione ma si costruisce anche facendosi la fama di una costosa, esigente che è una cosa che in un relazione del lavoro porta rispetto, cioè questa paura che noi abbiamo di dover sempre un po’ chiedere scusa e permesso di lavorare porta ovviamente, persone magari prive di scrupoli o comunque che fanno a loro volta il loro lavoro di comprare, a calpestarti. Parla molto di alcune cose che sono successe per colpa di Internet, questa cosa a me di nuovo preoccupa perché internet non è né una persona fisica né una persona giuridica, Meta è una persona giuridica, ma comunque non fa qualcosa perché tu faccia qualcos’altro, questi strumenti qua ti mettono in condizioni di scegliere se fare o non fare qualcosa, quando noi crediamo al fatto che ci fanno fare qualcosa è lì che cadiamo nella trappola e questo nel lavoro è esattamente la stessa cosa, nel momento in cui uno ti dice ‘guarda che se non accetti tu c’è uno che prendo al posto tuo’ quella è una negoziazione, non chiamiamola trappola, e se tu dici ‘prendilo, io sono più brava’, insomma..”
Joe Casini: “Andiamo avanti con il format. è il momento della domanda dal pubblico. Nei giorni scorsi abbiamo dato la possibilità sui social di lasciarti una domanda, sono arrivate diverse domande, molte sugli aspetti professionali e ne ho selezionata una perchè mi incuriosiva sentire la tua risposta e chiede: come vedi il lavoro di digital strategist tra 10 anni?”
Mafe De Baggis: “Sicuramente staremo sempre di più dei registi di comportamenti altrui, quindi, in realtà, sto barando perché è una cosa che dico è che molti pensiamo da anni, cioè lo strategist così come il direttore creativo sempre più spesso viene paragonato al regista, al coreografo, allo sceneggiatore, comunque qualcuno che non decide più cosa far succedere ma lo rende possibile. Sicuramente quello che tra 10 anni farà la differenza è, rubo una citazione che mi piace tantissimo dalla direttrice della London School of economics, lei dice che in passato lo strumento di lavoro erano i muscoli oggi è il cervello, domani lo strumento di lavoro sarà il cuore. Questa cosa qui anche tornando anche all’intelligenza artificiale di cui accennavi a me ha colpito tantissimo, perché se nel 2023 la London School of economics può affermare questa cosa mi sembra già un cambiamento notevole e il cuore è anche il fare in modo che le persone stiano bene che le persone siano rispettate, che anche le persone che lavorano per te, oltre che i clienti, quindi per me la Digital strategy, sarà proprio quella di accettare che non è detto che per avere successo nel lavoro bisogna essere spietati, delle persone orribili e che magari in un mondo in cui le intelligenze artificiali ci assisteranno sempre di più, alla fine il cuore e l’anima, faranno davvero la differenza.”
Joe Casini: “Questo è un tema di cui oggi si parla molto tu su questo sei ottimista, cioè vedi che effettivamente si sta muovendo qualcosa anche dopo gli ultimi tre anni in questa direzione o è un auspicio che però non sta prendendo piede?”
Mafe De Baggis: “Quello che vedo è che oggi i miei clienti capiscono quello che intendo quando dico che dobbiamo prenderci cura dei clienti per raggiungere i nostri obiettivi, credo che lo capiscano ancora in modo molto cerebrale, quindi appunto ancora molto razionale, perché i risultati parlano chiaro, però non escludo che da più parti ci sono persone, soprattutto quelli che magari adesso stanno studiando o stanno iniziando a lavorare, per cui questa cosa sarà vera anche mettendoci l’anima. Proprio stamattina leggevo un pezzo di un libro che mi piaceva molto che è ‘la scorciatoia’ e parlando di persuasione della comunicazione digitale parlava di rispetto della dignità umana che è una cosa a cui credo tantissimo e un’altra cosa che mi fa arrabbiare che ci preoccupiamo della dignità umana solo con la comunicazione digitale. Quindi il marketing analogico può fregarci.”
Joe Casini: “La connessione che stavo facendo con quello che raccontavi ora è il tema dell’achitetto delle scelte. Quello che dicevi tu è che lo strategist non è quello che sceglie ma è quello che prova ad indirizzare le scelte che gli utenti fanno. In una puntata di questa stagione ne parlavamo con Paolo Benanti a proposito di intelligenza artificiale e facevamo il ragionamento che facevi tu, posto che prima il lavoro si basava sulla forza fisica che abbiamo dato in outsourcing alle macchine, poi il lavoro si basava sull’intelligenza e ora abbiamo dato l’intelligenza in outsourcing alle macchine, intesa come capacità di calcolo, e ora anche come capacità di creare connessioni nel sapere. La domanda è: se togliamo tutto questo cosa resta? Cos’è che ci rende umani e cos’è quella parte che non possiamo dare in outsourcing a costo di doverci ridefinire come specie? E lui diceva che la capacità del sentire, dello stare insieme, di dare importanza all’aspetto emotivo. Nel momento in cui siamo davanti a questo enorme sviluppo tecnologico, c’è un limite etico? Tu da questo punto di vista con la tecnologia, l’intelligenza artificiale, il ruolo del lavoro, delle persone soprattutto, senti che siamo a ridosso di questo limite?”
Mafe De Baggis: “Io il limite lo sento da 30 anni e da tutt’altra parte, perché io mi sono laureata con una tesi sul marketing ambientale nel 1991 e io trovo grottesco preoccuparci di un software o delle telefonate del call center per dire una cosa che mi dà molto fastidio e nello stesso tempo stiamo distruggendo lo spazio in cui abitiamo, qui c’è una narrative che è passata molto pericolosa, cioè stiamo distruggendo il pianeta, stiamo distruggendo le nostre possibilità di vivere bene e in salute sul pianeta perché il pianeta farà una bella scrollata, la razza umana volerà nello spazio profondo. Quindi, il mio limite l’abbiamo superato negli anni 90 e per me è una gigantesca distrazione di massa questo continuo allarme sui pericoli della tecnologia, che ovviamente è anche parte dell’inquinamento e parte dell’impatto sul clima perché c’è bisogno di una quantità di energia mostruosa per far funzionare queste macchina, però trovo veramente incredibile che molte persone siano così preoccupate da futuro dell’evoluzione dei software e indifferenti rispetto al rischio concreto. Questo non per dire che non è un rischio, ma che comunque secondo me, in questo caso, un pochino di manipolazione c’è dello spostare le ansie delle persone.”
Joe Casini: “Stiamo andando verso la parte conclusiva della puntata, però abbiamo un po’ di tempo per fare qualche qualche domanda in particolare passiamo a quella che definiamo la domanda della birra di troppo. La domanda che ti volevo fare ha a che fare con l’intelligenza artificiale. In questo periodo ho visto che stai approfondendo molto questo tema ed è un tema che, soprattutto per le professioni creative, ha suscitato molte domande. Secondo te qual è l’opportunità più bella che da o che immagini possa dare alle professioni in particolare allo strategist e al contrario quella dove effettivamente metteresti maggiormente l’attenzione e che ti inquieta di più?”
Mafe De Baggis: “La cosa più figa è una cosa molto umile ma che credo sia utilissima, perlomeno per me, perchè chi come me scrive per lavoro non scrive per informare o per raccontare ma per comunicazione pubblicitaria, il rischio principale è quello di capirti tu e innamorarti un pochino di quello che dici e non essere del tutto comprensibile dagli altri. Chat GPT, ma non solo, perché ci sono anche altre applicazioni che uso quotidianamente proprio per chiedere se si capisce quello che ho scritto, è come avere un editor bravo, però quest’aspetto qui di dire ‘cosa sto dando per scontato?’. Nel mio lavoro quello che è veramente un problema è la cosiddetta ‘maledizione della conoscenza’ , un po’ quello che tu dicevi dell’ovvietà, io ogni tanto mi scopro a non dire delle cose perchè ho paura anche di essere offensiva, quando dico una cosa che è ovvia ma poi la dici e dicono ‘ah non lo sapevo’, Pinker che è un grande scienziato questa cosa la chiama ‘la maledizione della conoscenza’. Quindi, secondo me, in questo momento le AI ci salvano dalla maledizione della conoscenza: che cosa non sto spiegando? Penso anche giornalisticamente al background tutto quello che viene implicato nel discorso. La cosa che mi fa più paura non è tanto una caratteristica delle AI, ma del mondo intorno alle AI e cioè sto di nuovo vedendo un grande attivismo per sottrarre i propri contenuti al training delle AI, se noi togliamo la possibilità a questi software di allenarsi su contenuti variabili, di qualità estremi per essere il più chiara possibile lasciamo questo mondo in mano, prima di tutto ai manipolatori, che quindi possono inondare le AI che magari chi ascolta non è detto che lo sappia, quindi in brevissimo questo training viene fatto analizzando una quantità di testi mostruosa, se questa questi testi sono in gran parte testi maschilisti, razzisti, sbagliati, poveri di linguaggio, il risultato sarà altrettanto povero e quindi io è un po’ di tempo che penso che se invece di preoccuparci di togliere le nostre opere alle AI, ci preoccupassimo di inondare noi le AI, non noi bravi, non noi giusti, ma noi diversi, più diversità arriva migliore sarà il quadro. Ecco, questa è la maggiore preoccupazione perché con i social media è successa la stessa cosa. Questa cosa la racconta molto bene Baricco in ‘the game’ in cui dice che gli umanisti hanno schifato i social media e poi 10 anni dopo si sono trovati fuori dai giochi e di chi è la colpa?”
Joe Casini: “Questa cosa è molto interessante, quando iniziano ad affacciarsi alle intelligenze artificiali quello che si ripeteva è ‘ah ma sono pieni di bayas’ ma in realtà i bayas sono nella società, la grande opportunità che hai con l’intelligenza artificiale è vederli e poterci lavorare, poterli correggere perchè è più facile vederli e correggerli su un’intelligenza artificiale che magari vederli e correggerli nella società, quindi anche qui c’è questo thread off. Siamo in chiusura ma l’ultima cosa che resta da fare è quello che chiamiamo il Secret Santa. Il primo ospite che ti propongo è Paolo Benanti, è un frate esperto di tecnologie soprattutto sugli aspetti etici. La seconda è Ami Fall, creator su instagram dove fa divulgazione sulla finanza e ha una forte esperienza nel settore bancario, in particolare con un occhio di riguardo sulla questione di genere. Il terzo che ti propongo è Lino Apone, il quale è stato per tantissimi anni responsabile marketing in Feltrinelli, e con lui abbiamo fatto un case study sull’editoria, andando ad analizzare il settore e le dinamiche che ci sono all’interno. Tra questi tre ospiti quale ti incuriosisce di più?”
Mafe De Baggis: “Scelgo Ami Fall che sono curiosa della domanda.”
Joe Casini: “La domanda di Ami è: il fatto che ci siano persone in grado di produrre e distribuire contenuti in che modo sta influenzando l’editoria? Cioè il modo in cui tradizionalmente abbiamo sempre elaborato, prodotto, distribuito, commercializzato, i contenuti. Questo è un fenomeno transitorio o effettivamente sta cambiando profondamento il modo in cui creiamo, distribuiamo e commercializziamo anche la conoscenza?”
Mafe De Baggis: “Secondo me l’ha cambiata e l’ha cambiata già in modo duraturo perché in un certo senso gli editori hanno delegato alle Community la scelta dei temi e degli autori da pubblicare e quindi questo è una cosa che spesso viene raccontata anche in modo negativo, cioè non ti pubblicano se non hai un certo numero di follower, però nello stesso tempo questo ha permesso anche l’emergere di voci e di persone che probabilmente non sarebbero mai arrivate da un editore. Quindi secondo me questa cosa ha già cambiato lo scouting degli editori e aggiungo che, in questo momento in Italia, ho scoperto da poco che c’è una scena produttiva per film e serie televisive vivacissima che io sinceramente a 30 anni mi sarei sognata e probabilmente avrei anche ammazzato qualcuno. Da un lato abbiamo quest’idea di un mondo ormai ucciso dai social media e da internet, dall’altro ci sono tantissimi autori italiani pubblicati e apprezzati, ci sono tantissime serie italiane scritte, prodotte e distribuite, non mi viene in mente niente di simile e quindi probabilmente questo cambiamento, questa emersione del talento, ha molto aiutato gli editori a trovarlo. Io spesso paragono internet a la buca dei manoscritti che ricevono gli editori che, chi lavora nell’editoria, sa che non solo ne ricevono tanti ma vengono letti perché il rischio che ti arrivi il capolavoro c’è, noi on-line vediamo un po’ come se tutti pubblicano, invece di mandarlo e quindi è chiaro che c’è tantissima roba illeggibile e inguardabile però nello stesso tempo c’è anche il gioiello. Aggiungo solo una cosa, non è vero che se tu pubblichi tutto in rete poi non puoi pubblicarlo, non lo vendi più perché una delle cose più divertenti ti ho seguito nella mia vita è fatto il lancio in Italia di cinquanta sfumature di grigio, che era pubblicato integralmente su un forum gratis, questo non ha impedito di salvare l’editoria mondiale.”
Joe Casini: “A questo punto è il tuo turno se vuoi lasciare una domanda:”
Mafe De Baggis: “Qual è la cosa che avresti voluto scoprire prima e che hai snobbato per un malinteso e chi te l’ha fatta scoprire?”
Joe Casini: “Ti ringrazio per essere stata con noi, il tempo è volato.”
Mafe De Baggis: “Grazie a te e grazie a voi.”
Joe Casini: “Vi do appuntamento a domenica prossima per la newsletter e fra due settimane con la prossima puntata del podcast. Buona domenica a tutti!”