Con la fine della Guerra Fredda e la caduta del Muro di Berlino, il mondo sembrava aver superato la logica del “nemico”, passando a una fase di cooperazione globale. Le sfide principali sembravano essere globali e non legate a conflitti tra potenze: cambiamenti climatici, pandemie, terrorismo transnazionale e disuguaglianze economiche. Si parlava di un nuovo ordine mondiale, basato sul liberismo economico e la cooperazione internazionale. L’idea che le potenze non si confrontassero più ma collaborassero per affrontare questi rischi era predominante – o quantomeno ragionevolmente auspicabile.
Intendiamoci, se da una parte anche negli ultimi decenni non è mai venuta meno la contrapposizione di interessi economici e geopolitici divergenti, dall’altra oggi sembra essere tornata predominante la logica del “nemico”, ovvero di un altro da dover annientare. La competizione per il potere e l’influenza tra queste potenze riporta in auge rivalità simili a quelle della Guerra Fredda, ma in un contesto totalmente diverso che non vede la contrapposizione di due poli capaci quantomeno di stabilizzare ampie aree del mondo, quanto piuttosto alleanze a geometria variabile che ogni giorno vengono messe in discussione.
La riscoperta del nemico si spiega attraverso la crescente messa in discussione dell’ordine mondiale dominato dal liberismo economico. Paesi che sotto la spinta della globalizzazione avevano abbracciato l’Occidente hanno cominciato a percepirlo come una minaccia alla loro sovranità, alimentando un ritorno al nazionalismo e alla competizione geopolitica su scala locale.
Questa rinascita dei nemici fa riflettere sul nostro futuro. Se in passato pensavamo che la cooperazione fosse la via per affrontare le sfide globali, oggi siamo di fronte a un mondo diviso da nuove “guerre fredde”, sempre più combattute sulle nuove frontiere tecnologiche, economiche e ideologiche. Come possiamo affrontare questi nemici geopolitici, pur continuando a collaborare per risolvere i problemi globali?
La lotta contro il cambiamento climatico, le crisi sanitarie e le disuguaglianze economiche richiedono un impegno collettivo, anche se le nazioni coinvolte sono in contrasto su altri temi. La cooperazione, quindi, deve essere l’unico strumento per affrontare sfide che, purtroppo, non sono mai veramente scomparse.
L’idea che la fine della Guerra Fredda segnasse la fine dei conflitti ideologici è stata un’illusione. Con l’apparente superamento della logica del conflitto tra blocchi contrapposti, siamo passati a una dimensione dominata dalla gestione del rischio, affrontando minacce come il terrorismo o la crisi economica. Ma oggi, quando il “nemico” sembrava svanire, lo vediamo riemergere sotto nuove forme, che non sono più legate a ideologie semplici ma a una lotta per il controllo e il dominio nel nuovo ordine globale.
Nel mondo di oggi, il conflitto non si misura più nei termini di violenza fisica, ma si estende ai flussi di dati, al controllo delle informazioni, alla sorveglianza. Il nemico non è più una figura facilmente riconoscibile, ma è divenuto una realtà digitale, che penetra nella nostra vita quotidiana, cambiando il nostro modo di pensare e agire. In questo scenario, non affrontiamo più la guerra nel campo di battaglia, ma nella psiche collettiva, dove il rischio e la paura sono alimentati dai media e propagati dalla tecnologia.
Il ritorno del nemico può anche essere visto come una risposta alla nostra crisi di identità. Quando la società perde la capacità di affrontare le proprie contraddizioni, proietta all’esterno le proprie paure, creando nemici immaginari. In questo mondo di incertezze, la ricerca di un nemico ci permette di definire chi siamo, di trovare un senso in un periodo di disorientamento. Ma la vera sfida non è combattere il nemico esterno, ma affrontare le divisioni interne e superare l’incapacità di risolvere le contraddizioni.
Il ritorno dei nemici non rappresenta quindi una vera risposta ai problemi del nostro tempo, ma un sintomo di una società che non è più in grado di pensare al futuro, e si rifugia nella nostalgia di un conflitto ideologico, che ci consente di dare un senso al nostro presente frammentato. Così, invece di affrontare la complessità del mondo moderno, ricreiamo la dicotomia tra “noi” e “loro”, in una battaglia che ci distoglie dalla necessità di affrontare le sfide reali del nostro tempo.
Il nemico di oggi non è più un’entità statica, ma una costruzione che si sviluppa in risposta alle dinamiche di potere globali. È la nostra incapacità di comprendere la complessità del mondo contemporaneo e la necessità di un approccio globale, interconnesso e collaborativo per affrontare le sfide comuni.