La storia umana è stata segnata da miti e narrazioni capaci di unire ampie comunità, stabilendo cooperazione e fiducia reciproca tra popoli diversi. Nel XX secolo, dopo due devastanti guerre mondiali, queste narrazioni hanno dato vita a istituzioni come le Nazioni Unite, l’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’Unione Europea. Tali istituzioni hanno creato reti globali di collaborazione, permettendo di affrontare insieme sfide comuni come le pandemie, le crisi economiche o la minaccia nucleare. Oggi, tuttavia, quei miti sono in crisi profonda.
La recente ondata di movimenti nazionalisti che attraversa Europa, America e altre parti del mondo indebolisce queste narrazioni condivise. L’ascesa di leader come Donald Trump negli Stati Uniti o le forze populiste in Europa non è casuale, ma è una risposta diretta alle contraddizioni del sistema globale neoliberale, percepito come ingiusto, distante, incapace di garantire sicurezza e uguaglianza economica. In questo contesto, le istituzioni internazionali diventano facili bersagli, accusate di promuovere gli interessi delle élite globali anziché proteggere i cittadini comuni.
Se le istituzioni internazionali perdono credibilità agli occhi di società sempre più frammentate è perché esse vengono percepite come strumenti di élite economiche e politiche distanti, strumenti di un sistema globale neoliberale che ha prodotto disuguaglianza e insicurezza diffuse. In assenza di alternative autenticamente progressive, capaci di interpretare il malessere diffuso, il nazionalismo diventa l’unico linguaggio politico disponibile per esprimere una frustrazione altrimenti inespressa.
Eppure, sebbene siano intrise di contraddizioni, le istituzioni internazionali restano ancora spazi essenziali per tutelare i diritti civili e umani, diritti che superano le frontiere e le appartenenze nazionali. La crisi attuale non dovrebbe spingere a un nostalgico ritorno al passato, ma dovrebbe semmai essere occasione per ripensare radicalmente queste istituzioni. È necessaria una nuova solidarietà globale che riconosca la complessità e la diversità come risorse, non come minacce. Occorre superare la logica semplificatrice del nazionalismo, che riduce la realtà complessa a narrazioni conflittuali e rigide, perché quando prevale la logica del “noi contro loro” il rischio di conflitti economici, culturali e persino militari aumenta significativamente. La cooperazione globale che ha consentito, per esempio, di coordinare le risposte alla pandemia di Covid-19 o di affrontare il cambiamento climatico, potrebbe presto crollare, incapace di resistere alla pressione di nazionalismi sempre più radicali.
Ma il nazionalismo non è solo una sfida politica: esso rappresenta anche un grave rischio per l’umanità, perché rende impossibile affrontare adeguatamente crisi che, per loro natura, sono globali. Problemi come i cambiamenti climatici, le migrazioni di massa e i rischi derivanti dall’intelligenza artificiale e dalla biotecnologia richiedono soluzioni coordinate a livello mondiale. L’assenza di una gestione comune potrebbe rivelarsi catastrofica. Immaginate cosa potrebbe accadere se ogni paese decidesse autonomamente come gestire tecnologie pericolose come l’editing genetico o sistemi avanzati di intelligenza artificiale.
Paradossalmente, il nazionalismo offre un’illusione seducente di sicurezza e identità, promettendo di proteggere le comunità locali dalle minacce esterne e dall’incertezza del mondo moderno. In realtà, questa promessa è illusoria: la chiusura identitaria riduce la resilienza sociale ed economica, limitando l’accesso a nuove idee, culture e opportunità. La storia insegna che società isolate, che si rifiutano di confrontarsi con altre culture, finiscono sempre per indebolirsi, non rafforzarsi.
Di fronte a questa situazione, non possiamo limitarci a difendere lo status quo o a rimpiangere il passato. È urgente ripensare radicalmente le istituzioni globali, costruendo una nuova narrativa capace di rigenerare la fiducia collettiva tra popoli e stati. Questa nuova narrazione non potrà limitarsi a riproporre vecchi slogan, ma dovrà affrontare con coraggio e onestà i fallimenti della globalizzazione, proponendo alternative autentiche in grado di convincere anche chi, oggi, si sente escluso e abbandonato.
Il futuro dipenderà dalla nostra capacità di scegliere se continuare lungo il cammino pericoloso della divisione e della sfiducia, o se impegnarci nuovamente nella creazione di narrazioni comuni, costruendo una solidarietà globale che possa affrontare le sfide esistenziali del XXI secolo. Questa scelta, oggi più che mai, è nelle nostre mani.