Tecnologie, idee, culture, valori: tutto cambia a una velocità senza precedenti. Viviamo trasformazioni epocali… in pochi anni.
È come vivere in una navicella che accelera costantemente. Più acceleriamo, più serve energia, adattamento, controllo. Come in fisica, anche l’accelerazione sociale ha un prezzo. Stress collettivo. Crisi politiche. Polarizzazione. Perdita di senso.
La sensazione che gli eventi ci stiano precipitando addosso è qualcosa che ci accomuna tutti, anche se forse per motivi diversi.
Ma le emozioni sono contagiose. La psicologia sistemico-relazionale ci ricorda che spesso ci sentiamo come si sente chi ci sta vicino. Il disagio collettivo si trasmette, silenziosamente, tra i corpi e tra le menti.
Viviamo in un sistema interconnesso, non solo tecnologicamente, ma emotivamente e biologicamente e che si evolve sempre più rapidamente. L’ansia di questa epoca si muove attraverso le relazioni, si imprime nei nostri gesti, nei nostri silenzi.
L’accelerazione non è solo tecnica. È diventata la forma stessa del vivere. Corriamo, non per arrivare, ma perché non possiamo fermarci.
Ed è così che – di corsa – forse ci stiamo avvicinando a una “singolarità sociale”: un punto in cui il cambiamento diventa troppo rapido da gestire. La coesione si rompe. Le istituzioni vacillano. Il futuro sfugge di mano.
Il cervello umano non è progettato per questo ritmo. Siamo ancora biologicamente programmati per comunità lente e locali. Ma ci troviamo a gestire reti globali e sistemi ipercomplessi.
Su questo punto voglio però essere molto chiaro: non credo che la tecnologia in sé sia il pericolo. Il pericolo è non riuscire ad adattare le nostre culture, la nostra etica, la nostra mente.
In un periodo in cui tutto cambia sempre più rapidamente, forse la sfida più urgente non è innovare più in fretta, ma imparare a rallentare. A riflettere. A scegliere la direzione.
Perché l’accelerazione svuota il tempo. Nessuna memoria, nessuna narrazione. Solo una successione di istanti vuoti.
Oggi resistere significa riprendersi il tempo. Recuperare il silenzio, l’incontro, la profondità. Perché solo un tempo lento è un tempo che si può abitare.